1938

In poco più di vent’anni l’attività della distilleria crebbe notevolmente, tanto che nel 1938 fu necessario ideare un piano di ampliamento della fabbrica. Fu l’architetto Michelucci a elaborare il progetto, poi realizzato dall’ingegner Zeni. Punto nodale dell’intero programma fu la scelta di mantenere intatto il vecchio edificio Kursaal e farne il cardine della nuova architettura, sottolineando il legame con la tradizione: bisogna comunque specificare che l’idea originale di Michelucci era di creare unità stilistica dell’intero edificio, prevedendo dunque un intervento che avrebbe dovuto alterare in parte le forme della struttura preesistente, ma ciò non venne eseguito dall’ingegner Zeni che preferì lasciare il Kursaal com’era delineando un nuovo edificio che si integrava perfettamente nell’ambiente precedente, con armonia, senza rinunciare ai canoni del razionalismo. Il progetto principale prevedeva uno sviluppo di due corti di forma circolare che si articolavano attorno alla struttura centrale, seguendo gli ambienti planimetrici e i rapporti formali preesistenti ed estendendosi nella zona retrostante formando un ampio spiazzo circolare dedicato, oggi, proprio all’Architetto che lo ideò e creando un secondo accesso verso il mare di carattere funzionale per la fabbrica, senza alterare gli spazi e la loro percezione. Le corti laterali formavano dunque grandi aree idonee a ospitare la distilleria, senza però rinunciare a quel gusto architettonico di cui Michelucci era forte esponente: un’architettura capace di catturare il suo tempo, di dialogare con la storia e con la Città, e di provvedere ai nuovi bisogni della collettività; una struttura legata alla memoria che rievoca le equilibrate forme di un passato classicismo, rielaborandole nella contemporaneità. Questa visione architettonica rientra nel principio, caro a Michelucci, dell’umanizzazione dell’architettura per il quale grande importanza viene data all’utilizzo libero e creativo degli spazi che si traduce in una concezione dell’edificio che pone al centro l’uomo e il suo vivere, non la ricerca formale. Sulla base di questo concetto la fabbrica non fu intesa solo come area per la produzione, ma come luogo del lavoro collettivo, come un edificio pubblico.

L’azienda dell’Aurum continuò la sua attività con fermento fino agli anni settanta, quando si decise di vendere il marchio e la fabbrica chiuse i battenti per trasferirsi altrove. Si chiuse così un altro capitolo delle vicende dell’Aurum.