Sala e Terrazza Flaiano

Si sviluppa al secondo piano dell’edificio e ospita riunioni, conferenze ed incontri culturali e conviviali. Anche qui lo spazio è pervaso dalla luce che filtra dalle grandi vetrate non più arcuate ma quadrangolari, che verso il lato interno si aprono sulla grande terrazza da cui si domina l’intera Riserva Nazionale dannunziana. La sala è dedicata a Ennio Flaiano, sceneggiatore, scrittore, giornalista, critico cinematografico natio della città di Pescara. Studia architettura ma preferisce dedicarsi al giornalismo ed alla critica cinematografica. La sua attività di sceneggiatore continuò parallela a quella di scrittore, non con minore fortuna, e nel 1947 esordisce con il suo primo romanzo “Tempo di uccidere”, vincitore del premio Strega di quell’anno: un racconto molto suggestivo che narra dell’esperienza vissuta in Etiopia e che nel 1989 vedrà una versione per il cinema diretta da Giuliano Montaldo. La sua carriera come giornalista di critica, cronaca e costume procede lo vede scrivere per importanti testate giornalistiche di portata nazionale e nel frattempo firma innumerevoli soggetti e sceneggiature che trovano realizzazione in oltre sessanta film. È importante ricordare il rapporto che Flaiano ebbe con Fellini, cominciato nel ’51 con “Luci del varietà” e durato fino al ’65, che si rivelerà intenso e fruttuoso. A lui è stato dedicato, dal 1974, il “Premio Flaiano”, manifestazione che si svolge ogni anno nella città di Pescara.

Ennio Flaiano di se stesso ha scritto:

“Sono nato a Pescara in un 1910 così lontano e pulito che mi sembra di un altro mondo. Mio padre commerciante, io l’ultimo dei sette figli della sua seconda moglie, Francesca, una donna angelica che le vicende familiari mi fecero conoscere troppo poco e tardi. A cinque anni fui mandato nelle Marche, a Camerino, presso una famiglia amica, che si sarebbe presa cura di me. Vi restai due anni. A sette anni sapevo fare un telegramma. Ho fatto poi anni di pensionato e di collegio in altre città, Fermo, Chieti, Senigallia, persino Brescia, nel 1922. Il 27 ottobre dello stesso anno partivo per Roma, collegiale, in un treno pieno di fascisti che “facevano la Marcia”. Io avevo dodici anni ed ero socialista. A Roma divenni un pessimo studente e arrivai a stento alla facoltà di architettura, senza terminarla, preso dal servizio militare e dalle guerre alle quali fui chiamato a partecipare, senza colpo ferire.

Tuttavia, Roma è la mia vera città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l’enorme garage del ceto più medio d’Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha una estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi. A Roma, da giovane, ho trascorso anni in giro, la notte, col poeta Cardarelli e Guglielmo Santangelo, due maestri di indignazione e di vita. A Roma ho conosciuto i primi scrittori, i primi artisti, i giovani che facevano la fame, le donne che ci facevano compagnia.

Ho cominciato a scrivere molto tardi, satire e note critiche, pensare alla narrativa. Nell’inverno del ‘46, trovandomi solo a Milano, ho scritto il mio primo e unico romanzo. Era la “mia Africa”, adattata ai miei panni, un apologo: Tempo di uccidere.

Il libro vinse un premio, la critica lo accolse tiepidamente. Un critico scrisse che mi aspettava alla seconda prova. Sta ancora aspettando. Un altro che ero troppo “leggibile”. La vecchia Italia dei capitoletti e della “pagina” mi respingeva. Nel ‘49 Pannunzio mi chiamò redattore al “Mondo”, vi tenni una rubrica che poi raccolsi in volume, Diario notturno, assieme ad altri scritti. Il cinema mi offrì in quegli anni una vita economica meno aspra. Ho collaborato con Fellini ad otto dei suoi film, ho scritto altre storie, per altri registi. Infine, tutto tempo perso, idee e pagine buttate al vento. Nel ‘59 un altro volume di racconti, e poi una commedia, Un marziano a Roma, la sola cosa che mi piace e che andò male […]”