Pescara Jazz Village @ AURUM

Per la quarantunesima edizione Pescara Jazz si espande, in termini musicali e ambientali. Sul piano della presenza urbana, l’ampliamento del festival non ha precedenti: oltre agli appuntamenti al Teatro d’Annunzio, c’è il Pescara Jazz Village all’Aurum, già avviato lo scorso anno, a cui quest’anno si aggiungono il PJ@Marina, presso il Porto Turistico, e il ritorno di un appuntamento storico, il Jazz in Provincia, che fece grande il festival negli anni Settanta. Se si escludono i concerti in provincia, tutta l’attività avviene in luoghi vicini – Porto Turistico, Teatro d’Annunzio, Aurum – in una zona di Pescara caratterizzata dal mare e dalla rinascita delle attività culturali.

Sul piano stilistico la diversificazione si fa sempre più marcata, e distribuita nei diversi luoghi del festival. Gli appassionati duri e puri trovano al Village pane per i loro denti: il grande chitarrista Bireli Lagrene, uno dei più originali e virtuosistici eredi di Django Reinhardt, e soprattutto The Cookers, una impressionante all-stars di maestri dell’hard bop, che portano uno swing implacabile, avvincente e il grande solismo del jazz classico. Chi ama il ballo – una componente fondamentale del jazz sin dalle origini – può danzare al suono della Glenn Miller Orchestra, e il suono dell’orchestra è anche quello dell’eccellente big band del Conservatorio di Pescara, una collaborazione – estesa anche al Columbia College di Chicago – che premia la notevole crescita degli allievi dell’istituto.

Non che la Marina del Porto Turistico sia da meno, ma c’è una diversa declinazione: Mike Stern è il grande chitarrista blues/jazz che conosciamo, una stella scoperta da Miles Davis, e il duo Tuck & Patti ha fatto dell’eleganza e della delicatezza il segno della propria musica, venata di uno swing raffinato sorretto da un gusto infallibile. Non mancano le atmosfere brasiliane del grande chitarrista Toninho Horta, affiancato da Ronnie Cuber, uno dei più robusti e brillanti sax baritoni del jazz di oggi, certo un’accoppiata che stimola molta curiosità. Quanto a Tuck & Patti, la loro musica raccolta e seducente rappresenterà anche il festival in provincia.

Il palco principale del D’Annunzio è, come di regola, occupato dalle grandi star internazionali. Qualcuna magari di origine abruzzese, come Simona Molinari, che prima di scalare le vette del pop italiano si è fatta le ossa con un solido passato jazzistico, che traspare dalla sicurezza e dal gusto della sua voce. È interessante poterla accostare, a pochi giorni di distanza, a Dee Dee Bridgewater, una vecchia conoscenza del festival, che ancora oggi rimane tra le più brillanti e fresche cantanti jazz sulla scena, sempre pronta a rimettersi in discussione con l’energia che le è propria. L’accordo con una leggenda vivente come Ramsey Lewis appare perfetto: Lewis in fondo è uno dei pochi pianisti jazz che hanno sfondato il muro delle vendite pop, quando tra gli anni sessanta e settanta è diventato una star internazionale, capace di attrarre, con i suoi ritmi tra soul e funk, un pubblico vasto che altrimenti non avrebbe conosciuto il jazz.

Questa edizione del festival si apre anche alla world music: da un lato c’è da apprezzare il virtuosismo di Paco De Lucia, la sua fusione di passionalità flamenco e libertà di fraseggio mutuata dal jazz; dall’altro c’è il trio di Paolo Fresu, Omar Sosa e Trilok Gurtu, che galleggia su atmosfere meditative, liriche, a cui contribuiscono la sensibilità cubana di Sosa, con le sue melodie di origine africana, e l’eclettismo world di Gurtu, maestro delle percussioni.

Infine, c’è l’incursione di Pescara Jazz nel rock storico. Questa volta tocca a Brian May, una delle menti dei Queen, il compositore delle canzoni più celebri del gruppo, che di recente ha avviato una collaborazione con la cantante e attrice inglese Kerry Ellis – già protagonista di un musical sui Queen. Siamo dalle parti di composizioni entrate nell’immaginario musicale contemporaneo, che trascendono la passione per il rock. D’altra parte la ricchezza musicale dei Queen, il loro ventaglio stilistico e l’abilità compositiva di May non possono dispiacere a chi segue il jazz, musica di sintesi per eccellenza.

Stefano Zenni.

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